giovedì 1 settembre 2011

#day1 - Ho preso una decisione

Non è per niente facile. Se volete intraprendere anche voi questo viaggio, sappiate che non è per niente facile.
Sono praticamente cresciuta ad abbuffate di "ottimizza il tempo", "il multitasking è il futuro", "il tempo è denaro", "chi ha tempo non aspetti tempo", "chi dorme non piglia pesci", "two is megl' che one" potrei continuare all'infinito, e poi arriva un semisconosciuto che con un tweet e un paio di hashtag cattura la mia attenzione e mi introduce al mondo del minimalismo (la seconda voce, per capirci) come approccio alla propria vita.
Avevo già letto un articolo da qualche parte tempo fa, con certo interesse e sana invidia per la forza di volontà, a me estranea in questi 28 anni di vita, e per il grande passo fatto da queste persone che se ne vanno in giro con due paia di mutande, un computer sotto braccio e forse un deodorante in tasca. Per un attimo ho pensato - fico, lo faccio anche io! - poi dando un'occhiata alla mia stanza che più che un luogo dove riposare sembra essere un negozio di cinesi, ho abbandonato l'idea ipso facto.
Quattro giorni fa Francesco ripropone il concetto sull'asse spazio-temporale: non disfarsi dei propri oggetti e ridurli al minimo ma delle proprie azioni in un determinato lasso di tempo. Svuotare il tempo, come scrive lui.
Oggi ho cercato di svuotare il tempo, dalle 7:45 ad ora, e ci sono riuscita solo in parte. Ho preso parte all'esperimento; sí, io, la ragazza più multitasking de La Latina.
La meta? Meno stress, più concentrazione, iniziare una cosa e terminarla senza farla incrociare con altre mille per poi lasciarle tutte eternamente a metà, dare il dovuto rispetto ad ogni attività che ci proponiamo nella quotidianità senza contaminarla con altre mille allo stesso tempo.
I minimalisti ricercano la felicità con questo metodo/progetto/religione, io mi metto alla prova.
Quindi stamattina con tutti i più buoni propositi e dopo aver adempito a tutte le solite attività mattutine, alzarsi, pipì, lavarsi, vestirsi, truccarsi, pettinarsi, etc etc che da adesso in poi chiamerò routine, esco di casa con gli auricolari su e la musica on e non faccio nient'altro, non controllo la posta (sono iPhonata), non apro facebook, twitter, il giornale, solo ascolto musica e guardo le facce della gente. Poi arrivo in ufficio, tutto sembra andare bene, inizio la mia altra routine da ufficio, salgo a fare colazione lasciando l'iPhone sul desk - bien! - e quando ho il laptop accesso e i programmi attivati, tranne Spotify, inizia l'attacco di astinenza da Google Chrome con tutti i tab aperti, minimo 30 per ogni finestra, con le loro iconcine tutte colorate, e i social network accesi, e lo scrobbling della musica and so on.
Alle 10:45 già stavo facendo pausa lavoro ma non per scendere a prendere una boccata d'aria o passare in bagno, ma per permettermi quei 15 minuti (non ho poi esagerato così tanto) per controllare tutto quello che mi ero persa su Twitter, le notizie de la Repubblica, gli status interessanti su FB, le nuove tendenze musicali di Pitchfork, via dicendo.
Poi arriva il bip maledetto della chat interna dell'azienda, che faccio? Leggo? E se leggo, poi rispondo? Posso leggere ed evitare di rispondere? La mia coscienza me lo permetterebbe?
Ah la mia coinquilina mi scrive in whatsapp intanto per darmi l'IBAN da dare alla nuova coinquilina anche lei dotata di whatsapp per fare il bonifico della caparra, quindi non solo sono su tre chat in contemporanea adesso, FB, Gmail e quella del lavoro, ma anche sull'iPhone mentre leggo l'email e squilla il telefono.
L'esperimento è andato a farsi benedire dopo nemmeno 3 ore.
Ho mangiato al desk in compagnia di qualche video musicale mandatomi via chat da qualche collega, con il peso della missione che stavo per abbandonare.
Poi mi sono ripresa un attimo e mi sono riproposta di darmi un secondo round pomeridiano, e lí sono stata più rigida con me e con gli altri. Mi ha aiutato molto il fatto di condividere quello che stavo facendo con le persone che richiedevano la mia attenzione in momenti in cui ero già occupata con un'altra attività, spiegando loro l'esperimento e dicendo loro che li avrei ricontattati più tardi o che avevano a disposizione solo 10 minuti del mio tempo in quel determinato momento e devo dire che ha funzionato abbastanza.
Mi sono data anche il tempo per controllare tutti i miei social network, fumare un sigarettina, rifornirmi d'acqua, pipì, pausa, ma solo quando avevo finito quello che avevo iniziato. E devo dire che a fine giornata il mio inbox era sorprendentemente più pulito di tanti altri giorni. Ma che sudata!
Esco da lavoro, aspetto l'autobus senza musica. Aspetto e basta. In metro leggo i post di un blog, senza musica, leggo. A casa mangio con la tv spenta. Inizio a scrivere il post, la mia coinquilina mi chiede aiuto per salire su una scala. Spezza ciò che sto facendo ma la mia empatia con il prossimo non mi lascerebbe posticipare una richiesta d'aiuto per un esperimento.
Ora sono da sola in salone, con il tic tac dell'orologio e il rumore del camion della spazzatura che passa sotto la finestra. Non ho fatto molte cose, tipo stendere i panni, dovrò impegnarmi di più per rispettare una tabella di marcia che però ancora non esiste.
Nel frattempo le mie coinquiline mi hanno presa per pazza, chiedendomi se mangiare, respirare e parlare allo stesso tempo non sia multitasking.

mercoledì 29 settembre 2010

Define: moco

Sono esattamente, fatemele contare, 1 + 24 + 24 + 2 = 51 ore che non esco di casa, 2 che non faccio pipì, 3 che non mangio, 5 che non mi soffio il naso, 25 minuti che non starnutisco, 10 minuti che non mi cola il naso. L’influenza è una brutta bestia. Soprattutto se la media degli starnuti è di 5 in un’ora. Per non parlare del mal di ossa, che aumenta proporzionalmente al tempo passato a letto. Riposa, non t’affaticare. Balle. Sei più stanco di prima, tutta la parte superiore della schiena viene indolenzita dall’appoggiarti al materasso, , lo stesso materasso che quando l’hai comprato mesi prima hai gridato “Figo! Un materasso da paura a questo prezzo! Folle!” invece non c’avevi capito un cazzo e ora ti ritrovi con gli acciacchi di una settantenne.

In compenso a forza di starnutire e tossire e tossire starnutire hai sviluppato addominali da far invidia a .... nessuno, ti fan solo male quando ridi e muovi il diaframma. Domani sali sulla bilancia e vedi quanti chili ha perso mangiando gazpacho, promesso?

Quanto è patetico andare indietro nello storico del facebook e cercare canzoni che contengano il suo nome nello spotify?

Perché mi faccio tutte queste domande e non mi do mai delle risposte?

Merda, che pesante che sono stasera. Domani sarà un giorno migliore, vero Cremonini?

Ah, e non è vero che se scrivi pornografia, free sex e lady gaga aumenti le entrate nel blog. Forse dovrei inserirli anche nei tag? Proviamo 2.

venerdì 24 settembre 2010

Don’t trust anybody

Solo ora capisco perché poeti, cantanti, scrittori, artisti in generale raggiungono l'apice creativo delle loro produzioni in momenti di 'grossa crisi', lasciatemela chiamare così. Se sei contento o felice - beato te e dimmi dov'è il libretto delle istruzioni - vivi la tua vita, ti godi le gioie che ti da e non ti fermi a pensare perché tutto è bello, stupendo e meraviglioso. Se sei giù di morale, triste, malinconico, deluso, insofferente, incazzato e non stai bene, allora sí, Ti fermi, fai un passo indietro, o due, o ti rimetti all’inizio della strada, ti siedi o si lasci cadere, ti stendi a terra, la testa sul marciapiede, le braccia aperte e le gambe anche, la testa in su, chiudi gli occhi e ti vien da piangere.
E piangi. Le lacrime sono correnti salate fatte di ansia, paura, impotenza, aspettative negate, e scorrono giù nella testa, le senti entrare tra i capelli - toc, toc, posso? - inizi a singhiozzare, ti manca il respiro, ti scende il mocciolo nel cervello mentre tiri sú, ma non riesci a smettere, e gi`con lacrime e singhiozzi, resti lí disteso, qualcuno si affaccia, nessuno ti tocca, nessuno che viene a raccoglierti da terra, ti passano affianco, sbirciano, il pù insolente ti scavalca, ti ride addosso, il compare se la ride, ah ah ah, ti fa l’occhiolino e ti sputa sul collo. Bisogna sempre avere un pacchetto di fazzoletti in borsa, dicono. Hanno ragione.
La gente si sparpaglia, ormai non sei più un oggetto morboso, la loro vista si è abituata alla tua presenza, al tuo corpo lacrimevole.
Ti coglie di sorpresa quel braccio. Lo vedi allungarsi verso di te, il palmo della mano aperto, le dita lueghe e bitorsolute. Tu non fai una mossa. Ne hai visti tante di braccia avvicinarsi per poi ritraersi. Ormai vuoi solo disperarti piangere. Frega un cazzo. Non vuoi più nessuno che ti compianga, ti basti da solo. Sei patetico. Ma guardati, pieno di lacrime di piombo che ti attraggono al cemento. Non t’importa, ormai hai creato il tuo spazio, l’hai picchettato, c’hai pisciato tutt’attorno, non si può più uscire. Né entrare. Non lasciar entrare nessuno. Non lasciar che nessuno allunghi il suo braccio. Non fidarti né affidarti. Ci sei solo tu, e quello che non sei piú.
A questo punto nel tuo eremo, solo come un cane, salta fuori la parte umana del desiderio di comunicare e condividere questo stato di frustrazione cosmica che hai dentro e fuori, ma non c’è un cane a cui parlare. Non capirebbero, tirerebbero via il braccio, son tutti idioti, figurati se racconto i cazzi miei a quelli lá. É cosí che compri un diario, un cuaderno, apri un blog, e ci schiaffi tutta la tua merda. A volte ne escono fuori dei capolavori, altre delle cagate immense come questa.
Mi han detto che se scrivo pornografia, sesso e calcio aumento i visitatori del blog.
Facciamo una prova.

venerdì 17 settembre 2010

Scuse

Che diamine ci vai a fare a vivere a La Latina se poi non ne hai mezza di uscire a fare quattro passi e godertela in una fresca serata come questa di oggi?
Ah già, dovevi riordinare la stanza, sistemare il salone, fare il cambio stagione - mai fatto in vita tua - e altre mille faccende, chiamate anche scuse.
In cambio hai scaricato una canzone gratuita da LastFM dei Nine Inch Nails, la stai ascoltando su iTunes e dopo averla ascoltata hai ordinato la biblioteca in ordine di genere musicale, che non combacia quasi mai con quello reale (dovrebbero ampliare/aggiornare le casistiche) e ti metti ad ascoltare la tua musica con questo splendido criterio, che se vuoi è anche molto random visto che per iTunes i Baustelle fanno musica alternativa tanto quanto Beck. Tutto quanto non rientra nei canoni impostati per iTunes è alternativo. Alternativo a tutto il resto. Bon.
Ti sei mangiata due yogurt activia bifidus ai cereali anche se caghi da dio ma chissene. Son buoni. L'opzione Genius è una genialata invece, giustamente, sennò le avrebbero messo un altro nome.
Come non detto: iTunes dejó de funcionar.

Ci sono voluti due sconosciuti a farmi tornar la voglia di scrivere. Grazie. Ve ne pentirete presto ed amaramente.



martedì 11 novembre 2008

Not in my name

Sì, lo so che non dovremmo parlare di lui, che è meglio ignorarlo, ma chi l'avrebbe detto che la sua (onni)presenza nonchè le sue 'carinerie', dice lui, avrebbero portato alla nascita di qualcosa di buono?
NOT IN MY NAME ne è un esempio. Si tratta di un blog partecipativo nato per sottolineare che le esternazioni del primo ministro italiano non rappresentano il pensiero di moltissimi cittadini, di destra o di sinistra, l'ideologia politica non c'entra, solo si vuole reiterare che la figura del premier deve interpretare il pensiero di un intero popolo, non ridursi ad emettere esalazioni celebro-corporali di un singolo.
Il movimento è nato spontaneamente e naturalmente in rete (lo potremmo spostare nelle piazze, no?) e per partecipare basta inviare una foto, con nome, cognome e città di provenienza, con una scritta: "not in my name" e simili.
L'idea mi piace molto, quindi ragazzi, vi dico un'ultima cosa e vi saluto:








Aggiungo un video che calza a pennello.

sabato 8 novembre 2008

Cos'è ItaliaeTV?

Social Network dedicato alla generazione di giovani "esiliati" e/o precari. Uno sguardo propositivo da dentro e fuori l'Italia.
Per saperne di più, clicca qui.

martedì 7 ottobre 2008

Metro de Madrid, incontra.

La stazione del metro di Avenida de America è un via vai scombinato di persone impazienti. Per guadagnare quel mezzo minuto di tempo perso a cercare le chiavi di casa o il calzino sotto al letto o la maledetta lente a contatto caduta per terra, cercano il più piccolo spazio tra te e la parete del corridoio sotterraneo, cercando di scivolarci dentro, senza pensare che il volume dei loro corpi è più grande e che finiscono per spingerti o colpendoti con i loro gomiti o mani penzolanti.
La linea 4 in Avenida de America alle 9 del mattino è tutto questo moltiplicato per dieci. All’arrivo del treno le nevrosi della gente vengono fuori con prepotenza, velate dalla scusa dell’orario di lavoro che non è flessibile - arrivo tardi, non posso perdere anche questo, devo salire per forza – tu ti trovi davanti alla persona che ha appena espresso mentalmente questo desiderio e all’aprirsi delle porte vieni catapultato letteralmente e fisicamente all’interno del vagone, spinto dall’energica volontà della testa pensante dietro di te che ‘non può perdere anche questo’.
Entrando, ti aspettano occhi vomitanti che temono che il tuo non leggero corpo si fiondi su di loro e cercano invano di creare il vuoto. Oltre a te e alla testa pensante entrano altre venti persone ammucchiate, chi appiccicate al vetro delle porte, chi al palo giallo in mezzo al corridoio del vagone, chi alla spalla sinistra del tizio che legge il ‘Que’ o ‘El niño con el pijama de rayas’.
Riesci a sfruttare il momento in cui un passeggero sposta la sua valigia di metallo che lascia scoperta una parte del pavimento e con uno slancio goffo te ne appropri. L’aria diventa più leggera, respirabile, sei giusto di fronte alla ragazza seduta ed aneli di poter essere al suo posto, chissà tra quanto scende.
Di fronte la tua immagine riflessa nel vetro, madonnina che faccia bianca... tra un po’ posso anche nascondermi tutta nelle borse che ho sotto gli occhi...il giubbino nuovo di H&M è stato un buon acquisto, stamattina fa freddino. Anche se ora, fff, in metro, lo toglierei, se non fosse che non posso muovermi molto.
Il tuo sguardo torna a scendere sulla fortunata seduta di fronte a te, quasi sotto di te visto che tu sei in piedi e lei no - uffa - e slitta alla persona seduta accanto che dorme con la testa addossata al poggiamano giallo, in tinta con la sua camicia abbottonata.
Continui ad illuderti che qualcuno si alzi e riponi le tue speranze nel ragazzo vicino alla bella addormentata. Nè una mossa, sta leggendo, la testa china sul libro, cerchi di vedere cosa legge, la copertina non si vede, gli sta accarezzando le ginocchia - sarà in inglese, no, no, è castigliano – un orologio al polso della mano sinistra che sorregge il libro, un maglioncino di cotone misto lana, sembra, - effettivamente, fa freddo oggi -.
Alzi gli occhi verso il suo viso, è giovane, non arriva ai 30, l’avevi già dedotto dalle sue mani, nodose, lisce, bianche, da studente - lo zainetto da universitario lo ha lasciato a casa? Ah, no, lavora - ha una specie di ventiquattrore, ma non rigida, tra i piedi, per non farla cadere e sporcare.
Ha un’aria familiare, i capelli neri come pece, corti, sembrerebbero ricci, forse ha messo un po’ di gel, lucidi però puliti, la nuca ben rotonda ti ricorda quella di tuo fratello minore, gli occhiali dalla montatura sottile poggiati leggermente sul naso lineare, in armonia con il resto del volto, con una leggera incurvatura sul dorso, quasi inafferrabile dalla vista.
Già visto.
Gli occhiali nascondono gli occhi, non visibili vista la posizione della testa che sembra voglia entrare nelle pagine del libro. Le ciglia, quelle sì, si vedono, lunghe, scure, folte, toccano quasi le sopracciglia arcate, a formare un semicerchio. Spesse. Nere.
Dove l’ho visto?Se alzasse il capo un secondo magari lo riconoscerei meglio...alza la testa... alzala, e su! Madonna, quando se ne va ‘sta qua??
PROXIMA PARADA: PROSPERIDAD.
Gli si drizzano le orecchie e con loro tutto il capo. Mica è lui???
Torni a fissare la tua immagine sul vetro - Eh si, mi sembra di si, miiinchia, e adesso? Lo saluto?...no, magari no, ...o si? Ma che mme frega! Mmm, co’ ‘sta faccia smorta... perchè non mi alzo prima e mi trucco un po’??? eh, perchè? Perchè vado a dormire sempre tardi, ecco perchè. Ma magari non è nememno lui, a ver... - ritorni cogli occhi su di lui, fa per girarsi, di scatto torni a puntare attraverso il finestrino la tua bianca pelle illuminata dal neon del vagone.
Cacchio, è lui.
M’avrà visto? Spero di no, sennò...che figuuura. Faccio finta di niente. Poi, se vuol dirmi qualcosa, allora mi giro. Sennò aria.
Però caspita, non lo vedo da un bel po’, dal 29 giugno 2006, il giorno del mio compleanno. Lo invitai a cena, a casa mia, con tutti gli altri... NO, che dico, anche all’Orgullo Gay l’anno scorso, lo intravidi tra la folla, dove Calle Fuencarral si incrocia con Gran Via, stava con la sua fidanzata. Forse mi vide, forse no. Più probabile la seconda.
Anche in quell’occasione ti sei tirata indietro, avresti potuto andarlo a salutare e non l’hai fatto. Per timore, magari lo disturbo.
Fosse per te disturberesti tutti.
No, non è questo, è che magari, che ne so, vado lì, lui vuol stare solo con la morosa, che gli dico?Ciaaaao! Ma quanto tempo!!??
Banale, pensi, e nel mentre come fosse un movimento involontario giri la testa verso di lui che sta leggendo, non mi vede, ma ti senti rossa in viso, vuoi scomparirre - tragame tierra! – sempre la solita storia, se lo saluti e lui non ha voglia di parlare con nessuno alle 9 del mattino, tantomeno con te, fai la parte della pesante, se non lo saluti sei maleducata.
Devi solo sperare che lui sia talmente preso dalla sua lettura che starà leggendo? – che non si accorga della tua presenza. Non sarebbe neanche tanto difficile, pensi, viva l’autoestima.
Si aprono le porte e la ragazza seduta davanti a te s’alza di colpo, il cuore sussulta, finalmente se ne va, mi nascondo dietro la bella addormentata.
Ti siedi e mentalmente fai un sospiro di sollievo, ti giri verso destra e non lo vedi, la ragazza appisolata lo copre totalmente e di conseguenza lui non vede te. Sei tranquilla, ti prendi la libertà di cercarlo nel riflesso del finestrino di fronte, magari da questa prospettiva finalmente puoi vedere che non è lui e puoi dormire tranquilla durante il tragitto. Non riesci nell’intento, la persona che gli sta di fronte in piedi lo copre. Mortacci... Tiri un po’ indietro la testa per vederlo da dietro, piano, senza che se ne accorga, con disinvoltura, come se stessi guardando fuori anche se non c’è altro che la caverna scura della metropolitana, niente di interessante insomma.
La nuca arrotondata, è la sua, son sicura.
Le porte si aprono ad Alonso XIII, la gente scende e la bella addormentata si sveglia e esce di corsa.
La barriera umana che proteggeva la tua identità se n’era appena andata. Inizi a fingere di dormire, come fai sempre che incontri qualcuno in metro che non hai voglia di salutare, soprattutto la mattina, que no soy persona, ma non è questo il caso.
Vorresti salutarlo, ma non vuoi essere tu la prima a farlo. Vorresti che fosse lui percorrere tutto il processo mentale appena intrapreso da te e scoprire la matta voglia di dirti, Hola Marina, eres tú? Tu faresti la faccia sorpresa, tireresti fuori il tuo sorriso più smagliante, lo guarderesti negli occhi per poi scendere sulle sue carnose labbra e con finto stupore avvicineresti la tua mano alla sua spalla per poi sporgerti con tutto il corpo verso di lui. Hola q tal?? Bacio guancia sinistra, bacio guancia destra, alla spagnola.
Avenida de la Paz. Apri gli occhi per scorgere se ha alzato lo sguardo. No. Continua a leggere. Meglio così. Per sicurezza, richiudi gli occhi. Senti che qualcuno si siede sul posto vuoto tra te e lui. Meno male. Pericolo scampato.
Ti viene in mente una fredda notte d’inverno inglese, la festa in casa è a base di musica, alcool e chiacchiere in tante lingue. Tu sei un po’ brilla e quello che ti piace fa lo scemo con una sua amica. In piena fase depressiva ingrandita dal rum e cola che hai in corpo, esci fuori a prendere aria. Ti appoggi ad una specie di pozzo, non era un pozzo, un muretto forse. Lo vedi uscire e venire verso di te. Si siede sul muretto accanto a te e ti chiede come va con un buon inglese. Così, così. Un po’ giù.
Lo conosci da due giorni, è venuto a trovare un amico e vi siete visti la prima volta in un cluster, davanti ad un computer. Es un crack, ti aveva detto l’amico, come biglietto da visita. Tu ci credi, perchè no? In comune avevate uno scambio di parole, una cena, un botellon e una gita fuori porta. Nulla di più. E perchè si preoccupa per me? Mi ha vista allontanarmi dalla festa spenta, mogia, e mi viene a chiedere come sto? Penso subito al secondo fine. Ma sono persa per un altro, e lo sa. Stiamo lì a chiacchierare un po’ sulle disavventure mie ed in generale. La vita è cosi, mi dice, tutti passano dei momentacci, o qualcosa del genere. Fa freddo. Decido di rientrare, non voglio dare l’impressione di starci. Non ne ho voglia. Stanotte no.
A Canillas è ancora seduto, dove scenderà? Non andrà dove vado io! Spero.
Continui a fingere ma ormai è chiaro che lui non ti ha visto o non vuole vederti o riconoscerti.
Mar de Cristal. Scende. Cambia linea o va all’aeroporto? Non lo saprai mai. Ti mangi le mani, alla fine non l’hai salutato. Pensi che potrebbe essere l’ultima volta che lo vedi. Le porte si chiudono. Non ti giri per spiarlo dal finestrino. Con un altro l’avresti fatto. Il treno riparte. È andato. Un’altra occasione persa, da aggiungere alla lista dei rincontri mancati e degli scontri con il passato. Non cambierai mai, vero?